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Il dentista non fa paura

Da Bergamo all’India per insegnare un mestiere Quando le “idee imprenditoriali” sono buone

«Da Seriate sino al confine con la Svizzera, c’è un mondo intero di piccoli imprenditori, artigiani, professionisti e comuni cittadini che, sconfiggendo l’immagine di un nord ricco ed egoista, è impegnato giorno dopo giorno in opere di aiuto concreto e di carità». Paolo Vrespa, attivo nel campo dell’odontoiatria milanese, esordisce con queste parole per raccontare la sua esperienza, oramai triennale, in un piccolo villaggio indiano. L’avventura inizia circa una decina di anni fa quando decide di impegnarsi in un’adozione a distanza. Concreto e molto realista, vuole conoscere personalmente chi si occupa di queste iniziative. Così arriva a un prete di Seriate, impegnato da diversi anni in una missione presso uno Stato del subcontinente indiano. «La sua abitazione – racconta Vrespa – era, in pratica, un magazzino pieno di scatoloni, vestiti e provviste, pronti da spedire. Sono rimasto affascinato dal suo attivismo e così ho adottato due bambini indiani». Dieci anni or sono, quella missione era ancora agli inizi. Il villaggio di Allipalli, situato nel cuore dello Stato indiano dell’Andhra Pradesh, contava poco più di cinquanta bimbi e un paio di costruzioni abitative allo stadio primordiale. Grazie a don Piero Paganessi, dell’associazione Operatori di Pace di Bergamo, ora in quel villaggio vivono circa cinquecento bambini tra i sei e i quindici anni di età. «Come tutti coloro che adottano bambini a distanza, permane sempre la volontà di andare a visitare quei posti. La maggior parte delle volte quelle parole non diventano mai fatti. Così anch’io per parecchi anni non ho più seguito l’attività dei missionari. Quando tre anni fa sono ritornato per vedere come andavano le cose, sono rimasto impressionato dall’immenso lavoro che erano riusciti a fare. Ho capito che potevo essere utile e così è iniziata questa avventura».

Non solo volontariato

Oltre alla missione vera e propria, sono state costruite case per gli abitanti, pozzi, scuole aperte a tutti e un piccolo distretto sanitario. L’impegno dell’odontoiatra milanese si è concentrato proprio su questo versante. È vero, infatti, che i volontari sono sempre ben accetti ma spesso per “costruire” concretamente cultura servono professionisti, persone che intendono mettere al servizio degli altri le proprie capacità e i propri saperi. «Quando sono andato alla riunione che illustrava lo stato della missione, era presente un oculista che spiegò quanto fosse necessaria la presenza di un ottico. C’erano da fare molti occhiali per quei bambini. Ho coinvolto immediatamente un amico di Legnano. Sono partito con lui. Arrivato sul posto, mi hanno informato che il Vescovo locale aveva aperto un’Università cattolica di odontoiatria e stava allestendo i primi macchinari. A quel punto ho compreso che potevo entrare in gioco io».
È così che Paolo Vrespa ha iniziato ad organizzare un presidio dentistico in loco. Si è messo in contatto con altri operatori del settore, associazioni ed amici e ha iniziato la raccolta di tutto il materiale necessario. «Abbiamo messo in piedi un vero e proprio studio, uguale in tutto per tutto ai nostri, e abbiamo portato alcuni dentisti per iniziare a offrire le prime cure. L’operazione è stata ripetuta più volte in questi anni; ora
la speranza è che l’Università, alla quale abbiamo donato svariati macchinari, riesca a sfornare laureati in grado di operare direttamente in loco». La speranza di Paolo, d’altronde, è la speranza di tutti coloro che vanno a portare aiuti in paesi disagiati come l’India. Purtroppo le condizioni sociali, culturali e politiche del luogo spesso sono un ostacolo per un concreto sviluppo. Eppure la logica dovrebbe servire da aiuto: far giungere un dentista in India, anche quando intende prestare la propria opera gratuitamente, comporta un costo (il viaggio) che è di gran lunga superiore a quanto un buon professionista indigeno costerebbe. In realtà, dice Vrespa, «la situazione è difficile. Gli indiani hanno una visione del mondo diviso in caste. La casta più bassa, i Dalit, sono gli intoccabili. Sono considerati come delle bestie. Quindi, seguendo quella mentalità, non c’è alcun interesse nei loro confronti, nessun senso ad occuparsi di loro. La situazione delle donne è poi molto difficile. I loro matrimoni sono combinati ed esiste la tendenza a mantenere una scolarità bassa, quasi nulla. Una donna colta necessita di una dote “ricca”, quindi è più difficile da “piazzare”, e poi, non lavorando nei campi è, di fatto, inutile. Proprio per questo l’università cattolica è molto importante perché da lì possono uscire persone in grado di agire, e soprattutto si possono creare le condizioni per una rivoluzione culturale in grado di superare queste primitive divisioni».
Quando si chiede a Vrespa se questo suo agire è stato indotto dal suo essere credente, lui sorride e dice che è nato cattolico, ma non si può proprio definire un credente. «Certo – prosegue – quando ho visto all’opera il sacerdote cattolico indiano, Padre Maria Joji Rai, sono rimasto affascinato dalla sua forza e dal suo entusiasmo. È capace di celebrare Messe di tre ore, catturando l’interesse di tutti. Io continuo a rimanere quello che sono, faccio quello che il cuore mi dice. Opero accanto a questi uomini di fede, con il loro stesso entusiasmo». Il lavoro nella missione è un work in progress: terminata una sfida, un’altra più difficile si affaccia all’orizzonte. Vrespa, con l’aiuto di “Smom” (organizzazione medico-odontoiatrica che opera in tutto il mondo), dopo lo studio dentistico ha deciso di organizzare una vera e propria campagna di prevenzione dentale. Si sono progettati corsi per operatori locali (circa una quarantina), predisponendo cartelloni esplicativi in lingua madre ed è stata anche avviata una campagna di distribuzione di kit per l’igiene dentale a partire da dentifrici e spazzolini.

Una sfida dopo l’altra

Il prossimo passo è riuscire a istituire una scuola per odontotecnici. Servono persone che costruiscano denti e protesi. Servono uomini che abbiano il coraggio di mettersi al servizio di altri uomini senza chiedere nulla in cambio, senza aver la pretesa di risolvere tutto. È naturale chiedersi perché un uomo occidentale dovrebbe impegnarsi in tal senso, occupare le sue vacanze, il suo tempo libero, per una missione di carità. La risposta forse sta proprio nelle parole con cui Paolo Vrespa conclude il suo racconto: «Quando uno, va in India, o in altri luoghi come questo, lo fa innanzi tutto per sé. Se inizi a pensare che stai salvando il mondo, allora puoi fare solo disastri. La realtà è che tu vai lì, fai delle cose e alla fine ti accorgi che ti stai arricchendo. Quanto dai, in termini di tempo e professionalità, lo stai già ricevendo indietro in termini di amore».

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